VALORE MILITARE Ce.S.Va.M.
Il blog è espressione del Centro Studi sul Valore Militare - Ce.S.Va.M.- istituito il 25 settembre 2014 dal Consiglio Nazionale dell'Istituto del Nastro Azzurro fra Combattenti Decorati al Valore Militare.Lo scopo del CEsVAM è quello di promuovere studi sul Valore Militare.E' anche la continuazione on line della Rivista "Quaderni" del Nastro Azzurro. Il Blog è curato dal Direttore del CEsVAN, Gen. Dott. Massimo Coltrinari (direttore.cesvam@istitutonastroazzurro.org)
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mercoledì 30 luglio 2025
martedì 29 luglio 2025
lunedì 28 luglio 2025
La crisi istituzionale tra etica ed estetica La razionalità utopica
DIBATTITI
Prof.
Sergio Benedetto Sabetta
In questo periodo storico di forti
contrasti e conflitti per ridefinire i termini della convivenza fra le diverse
comunità, in cui vi è un forte squilibrio tra finanza ed economia reale fonte
di lotta per il suo controllo ( Arrighi,
Silver), con grandi flussi di masse umane, rinasce la necessità di
riconsiderare gli aspetti etici ed estetici dell’agire umano, necessità di
determinare dei valori entro cui fondare la Comunità quale Nazione ( AA. VV., Il bluff globale, Limes 4/2023).
Hannah Arendt
in “La tradizione del pensiero politico” distingue tra l’azione
dell’eroe greco, degna di solitaria lode, che si risolve nel politico in un
succedersi di fondazioni autonome di polis
e l’esperienza di fondazione di origine romana, per cui tradizione,
autorità e religione si espandono nell’universo politico in una unica trama
unitaria, una distinzione che si è riflessa in tutta la storia europea e ancora
attualmente si ripropone.
La rottura delle tradizioni attraverso “rivoluzioni”
di pensiero, causa ed effetto dell’evolversi degli assetti economici e
relazionali, diventano origine di nuove strutture normative la cui autorità
nasce da atti politici di fondazione, in un passaggio pulsante tra tradizioni
espanse e nuove “fondazioni” quali atti rivoluzionari risolventi tensioni
sociali non più assorbibili nella tradizione.
Le istituzioni e la
normativa stessa nel suo evolversi perde unitarietà, si sfilaccia in
mille rivoli pari alle molteplici possibilità dell’agire umano, il modello
romano della fondazione sfuma nel
riprodursi dei moduli, i quali acquistano una propria originalità, mentre le polis si moltiplicano in un sistema
economico a rete, nel quale la tecnologia aumenta la velocità della
comunicazione e dello scambio e il trasferimento di risorse e degli stili di
vita.
Le possibilità economiche creano possibilità culturali
che si innestano nelle trame precedenti, si che l’internazionalizzazione
dissolve le precedenti fondazioni attraverso il progressivo perdersi prima
della tradizione, poi della autorità e della religione, nasce l’esigenza, non
solo economica ma anche culturale, di una “rivoluzione” che ri-fondi i rapporti
e quindi anche di una normativa che
abbia nuova tradizione e nuova autorità.
La differenziazione che questa nuova fondazione
ricomprende non può portare ad una “maiuscola
Verità etica”(Flores d’Arcais),
ma accettare in sé “modeste verità di fatto” (Arendt) che tuttavia non devono risolversi in una inesistenza etica,
pena il dissolversi dell’autorità fondativa, ma anche l’impossibilità di un
sistema coordinato di relazioni su un substrato culturale difeso in quanto
accettato e riconosciuto, come proprio dell’uomo quale essere relazionale.
Florens d’
Arcais afferma che “nel campo etico- politico, del dover –
essere, non ci sono perciò né verità assolute né verità relative e parziali,
perché i predicati vero/falso sono fuori luogo. Ci sono scelte.”, ma le
scelte presuppongono comunque delle etiche non assolute, relative, comunque dei
termini di scelta formati e condizionati dalle proprie relazioni e dal caso
sociale.
Souriau in uno slancio creativo riconosce che nessun uomo “è stato conquistato da un’idea morale
attraverso un ragionamento ma unicamente per l’irraggiamento di questo ideale,
per l’ammirazione che causavano coloro che l’incarnavano” e prosegue con un
appello a rimpiazzare le antiche morali ormai superate attraverso una
“estetica” che superi la statica e passiva contemplazione, con una azione
creatrice e costruttiva nella quale si manifesti pienamente il presupposto
fondamentale della libertà del fare.
Questo modello “estetico”, fornito di una propria
forza costruttrice, si viene a contrapporre inevitabilmente alla semplice
gestione “amministrativa” dell’esistente e dei suoi principi conservatori;
l’emozione morale è una emozione estetica e come tale suscita fremiti e
movimento base per una “rivoluzione” umanistica ( Cauquelin), tuttavia “questa
libertà non è assenza di rigore ma scelta fra numerosi stili di rigore, di cui
alcuni sono ancora da inventare” ( Lascault).
L’estetica non è altro che la rappresentazione
dell’innata simmetria insita nell’uomo, del suo valutare i colori secondo gli
istinti di sopravvivenza e del completare mentalmente le linee partendo da
tracce parziali, in un rapido susseguirsi di azione e reazione necessario nella
lotta in natura per la sopravvivenza.
“In altre parole, la scimmia, dalla quale
discendiamo, doveva avere un’idea molto precisa della geometria dello spazio
realmente esistente per non cadere dagli alberi e rompersi il collo.
Analogamente, è presumibile che le nostre capacità di astrazione e di
manipolazione dei simboli logici si siano orientate a strutture realmente
esistenti nel mondo esterno” ( Eilenberger),
per l’individuo diventa pertanto un a priori e si comincia a intravedere la
complementarietà tra scientificità ed estetica nella comprensione della natura
e quindi dell’azione umana. Regolarità tecnologica e irregolarità della
“misura” umana, ordine e disordine, vengono a completarsi come in una immagine
frattale ( Eilenberger).
Nel suo raffinarsi culturale avviene l’estrapolazione
delle forme e dei colori in termini di emozioni e quindi di valore, il quale
trasportato in una società commerciale diventa economico e pertanto monetario,
quindi commerciale.
L’estetica nel determinare il valore delle cose e nel
commercializzarsi crea la necessità della normativizzazione, sia quali canoni
ideologici che nelle necessarie e successive normalizzazioni normative, la
costruzione giuridica è quindi anche un risultato del rapporto estetica-
società-economia.
Qualsiasi “rivoluzione” necessita della creazione di
una propria estetica, ancor più nell’ipotesi di una esperienza di fondazione o
ri-fondazione, estetica che permette l’assimilazione emotiva della necessità
organizzativa, sia economico- sociale che politico – istituzionale, e come tale
ne giustifica e ne glorifica la creazione ponendola quale modello, ma
l’estetica possiede un proprio valore derivante dalla sua necessità umana,
individuale e indipendente dall’elemento sociale e collettivo.
Proprio in questa necessità insita nella specie umana
vi è il suo riflettersi nella costruzione giuridica attraverso il valore che dà
alle cose e all’azione, nonché per il parametro decisionale che acquista nelle
scelte relazionali individuali o sociali, considerando che l’estetica è tra la
plasticità e il desiderio (Lyotard ),
che nasconde “un possibile” (Dafrenne)
per una potenziale ri-fondazione. Vi è quindi una utopia che interloquisce con
le potenzialità tecniche rendendole a dimensione umana, modificando “ciò che esprime e giustifica il sistema”(
Dufrenne).
Il desiderio crea l’utopia in un’azione “costruttiva”
e quindi di per sé modificativa, un desiderio che investe sia l’utile ( Bentham) che l’estetica, tra edonismo
materiale e necessità psicologiche, si che la “rivoluzione” della ri-fondazione
a cui una necessità utopica incita il presente diventa una rivoluzione non solo
simbolica ma anche formale, che nel rendere evidente quello che è già esaurito
ed evaporato ne ricostruisce tradizione e autorità, secondo un nuovo sentire
che prefigura ciò che potrà essere realmente ( Dufrenne).
“
La messa in moto di una trilogia di fattori quale
spirito, morale e mezzi forma un trittico fondamentale nel costituire il tutto
unico della potenza, che non è la somma ma il prodotto dei tre fattori, un
ponte necessario fra le forze intellettuali e quelle materiali ( Jean), sì da superare l’omologazione
gratificante ai modelli imposti, con l’azzeramento di fatto di una autonomia
individuale in cui la debolezza dell’Io è mascherata dal narcisismo pervasivo e
rischia la manipolazione da parte di una economia e di una politica dello
spettacolo ( Petrucciani).
La felicità è pertanto la necessità di mettere alla
prova le nostre capacità in attività difficili ma realizzabili, comunque per
noi dotate di senso, in quanto “ci adattiamo,
ci abituiamo, impariamo, cambiamo le nostre aspettative e abbiamo bisogno di
nuovi stimoli e di nuove sfide per continuare ad essere felici” (Perrone), questo anche una volta
raggiunta la sicurezza tanto economica quanto sociale, è quindi naturale il
rapporto tra la necessità creativa insita nella ricerca della felicità e
l’estetica, come lo è nell’azione ri-fondativa della tradizione che si esplica
attraverso il ripensamento dell’esperienza pragmatica, fino a superare un puro
individualismo possessivo per cui “prendo
quello che voglio perché posso” ( Sassoon).
Come già ricorda Dewey
senza l’estetica “l’umanità può
diventare una razza di mostri economici, incessantemente affaccendati in dure
transazioni con la natura e l’uno con l’altro, annoiati nell’ozio e capaci di
farne uso solo in ostentate pompe e in dissipazioni stravaganti. Come altre
questioni morali, questo argomento è sociale ed anche politico.”, vengono
quindi a fondersi le funzioni dell’estetica, della determinazione del valore e
della capacità creativa.
Bibliografia
·
E. Souriau, La couronne d’irerbes ,
·
P. Flores
d’Arcais, Addio alla verità ? Addio all’essere!, MicroMega, 98-104,5/2011;
·
H. Arendt, La
storia e l’Azione, MicroMega, 105-139, 5/2011;
·
A. Cauquelin, Mikel Dufrenne : portrait chinois, in
AA. VV., Vers une esthetique sans entrave. Melangs offerts a Mikel Dufrenne,
·
G. Lascault, Preambule in AA.VV., Vers une esthetique
sans entrave. Cit. ;
·
J. F. Lyotard, Discours/Figyre,
·
A. Manesco, Arte
e politica nell’ultimo Dufrenne, Clued, 1976;
·
G. Eilenberger,
Libertà, scienza, estetica, in H. O. Peitgen – P.H. Richten, La bellezza dei
frattali, Bollati Beringhieri, 1978;
·
G. Rittere,
Sollevazione popolare e politica di gabinetto: Gueisenau e Metternich nelle
guerre di liberazione, in “I militari e la politica nella Germania moderna. Da
Federico il Grande alla Prima Guerra Mondiale”, vol. I, Einaudi 1967;
·
C. Jean,
Introduzione a Karl von Clausewitz, Della guerra, Oscar Mondadori, 1994;
·
S Petrucciani, Adorno
e la democrazia manipolata, introduzione a T. W. Adorno, Massa e leader,
155-193, MiscoMega, 5/2011;
·
V. Perrone,
Denaro e benessere: 147 milioni di motivi per essere felici?, in E & M –
SDA Bocconi, 3-8, Etas 5/2009;
·
J. Dewey,
Ricostruzione filosofica, in Vita, pensiero, opere scelte, a cura di
A.Masserenti, ed. Il Sole 24 ORE 2006;
·
D. Sassoon,
L’istant sociology di David Cameron, in Il Sole 24 ORE, Domenica, 38, 147-221,
domenica 27 luglio 2025
Materiali per la Storia dell'Istituto del Nastro Azzurro Cartolina
sabato 26 luglio 2025
Sii originale ed anticonformista: sottoscrivi un abbonamento alla Rivista "QUADERNI"
NOTIZIE CESVAM
La Rivista
“QUADERNI DEL NASTRO AZZURRO”
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Le condizioni di cui sopra decorrono dal 1 gennaio 2025
Progetto 2022/2 Divulgazione
Campagna di Divulgazione ed Informazione
Estate 2025
venerdì 25 luglio 2025
Proposta di Collaborazione.
DIBATTITI
Resto a disposizione per l’invio del testo integrale e per eventuali adattamenti richiesti per la pubblicazione.
giovedì 24 luglio 2025
mercoledì 23 luglio 2025
CHAT Progetti del Istituto del Nastro Azzurro
martedì 22 luglio 2025
La leadership in un gruppo definito Dinamica di un sottosistema
Prof. Sergio Benedetto Sabetta
“Fu una battaglia degna di essere ricordata
per il rabbioso coraggio delle truppe inglesi e per la straordinaria
incompetenza dimostrata dai generali di ambo le parti”
(Woodham - Smith, Balaclava, Rizzoli 2002)
Nell’attuale tumultuosa fase storica si
è ripresentata la necessità dell’esame dei criteri e degli impulsi che stanno
dietro alla creazione di una leadership, tanto più che il tutto è stato
notevolmente modificato dall’introduzione dell’informatica che attraverso i
vari sistemi di comunicazione ha reso più pregnante e sottile controllo e
leadership, anche attraverso uno svuotamento culturale a partire dalle nuove
generazioni che ha permesso di passare
dalla prevalente repressione alla più sottile suggestione che permette una
repressione indiretta, come già intuito da Gunther
Anderss.
Solitamente i membri del gruppo forniti
di leadership formale hanno la tendenza a proporre/imporre le proprie idee, avendone
i mezzi per indurre i membri del gruppo a modificare il loro agire, tuttavia
l’influenza sociale è un processo bidirezionale, circostanza che porta comunque
ad una influenza sull’azione del leader.
Accanto allo status riconosciuto e
formalizzato, vi sono leadership informali che possono nascere dalla
personalità (teoria della personalità) o dalle richieste funzionali della situazione
(teoria situazionale).
Si realizzano nel gruppo due
leadership, una esperta del compito, l’altra nel settore socio-emozionale, la
prima fornita dalle abilità tecniche necessarie, la seconda capace di fornire
risposte alle manifestazioni emotive all’interno del gruppo, i due ruoli
possono essere separati e convergenti, ma questo non esclude la possibilità di
raccoglierli in una unica leadership; pertanto il leader migliore risulta
essere colui che pur riuscendo a realizzare le attività del gruppo resta
sensibile alle opinioni e ai sentimenti dei membri.
Il fattore efficienza della leadership
si realizza praticamente come una variabile dipendente tra stile del leader e
tipo di situazione da affrontare, in altre parole l’atteggiamento del leader
dipende dalla situazione più o meno favorevole (Modello interazionista).
Fiedler
ha individuato a riguardo tre elementi che determinano la “favorevolezza”
della situazione:
·
L’atmosfera del
gruppo (fiducia, lealtà, rispetto);
·
La struttura del
compito, in cui vi siano istruzioni chiare per raggiungere uno scopo ben
definito;
·
Il potere che
possiede il leader in termini di ricompense e sanzioni.
In questo schema si può osservare che la relazione
leader-membri è la più importante, solo successivamente si strutturano il
compito e il potere, deve comunque notarsi che in gruppi caratterizzati da una
forte componente tecnica è su questa capacità che si fonda una notevole parte
della leadership.
Recentemente l’aspetto piuttosto
statico dello schema di Fiedler , per
il quale i tratti di una personalità restano immodificabili, è stato sottoposto
a critica in favore di una analisi della leadership come processo, emerge a
tale proposito l’importanza delle norme nella regolamentazione del
comportamento del gruppo, infatti viene evidenziato che ciascun individuo è
influenzato dalle norme comportamentali costituite nel gruppo talché il leader
è custode delle norme, ma può anche essere elemento innovativo proponente
l’adozione di nuove norme.
Hollander
osserva che la leadership si costruisce inizialmente sulla propria
“credibilità” di fronte al gruppo, definita come “credibilità idiosincratica”
questa fornisce la legittimità necessaria per influenzare i membri e innovare
le regole del gruppo, uno dei momenti fondamentali in questo processo è quello
di adeguarsi inizialmente alle norme del gruppo stesso, dobbiamo considerare
che tre sono le fonti di legittimità:
·
Il processo
mediante il quale il leader ha raggiunto la propria posizione, elezioni interne
o esterne, nomina da autorità esterna o altro;
·
Capacità di
raggiungere i compiti del gruppo;
·
Identificazione
del leader con gli ideali e le aspirazioni del gruppo.
Inoltre devono considerarsi i rapporti esistenti tra i gruppi, infatti sussiste una stretta
interdipendenza tra i processi all’interno del gruppo e quelli tra i gruppi, la
leadership viene consolidata dalla capacità relazionale intergruppi.
Bavelas concepisce i gruppi come “legami” di comunicazione nel
quale la leadership assume un ruolo corrispondente ad un “indice di centralità”,
in cui tuttavia la crescente complessità dei compiti impone l’analisi e
l’integrazione di una maggiore quantità di informazioni, circostanza che
conduce ad una decentralizzazione della comunicazione nel gruppo a seguito di
una sua superiore efficienza in presenza di una elevata elaborazione.
La funzione
integrativa che ricade solo su un soggetto può determinare un “sovraccarico
cognitivo”, si ché risulta più economico non centralizzare eccessivamente i
processi decisionali compensando rapidità di decisione e necessità di una ampia
raccolta ed elaborazione delle informazioni.
Altro elemento che interviene in un gruppo è la motivazione che per Vroom è una combinazione moltiplicatoria dell’aspettativa, intesa
quale probabilità soggettiva al raggiungimento di un determinato obiettivo, con
l’utilità soggettiva che il soggetto attribuisce alla meta-incentivo (teoria aspettativa - valore).
La formazione dell’aspettativa
è a sua volta il risultato del rapporto della scala di valori propri
dell’individuo con la specifica esperienza nel promuovere i comportamenti
necessari al raggiungimento dell’obiettivo, il raggiungimento della meta-incentivo
costituisce una funzione di rinforzo nel confermare l’impegno senza mai
confondere la “valenza dell’incentivo”, come soddisfazione anticipata, dal
“valore del risultato”, in cui vi è una soddisfazione reale.
In qualsiasi decisione rimane comunque la possibilità
di una “dissonanza cognitiva”, per cui il processo di decisione non si
esaurisce con la decisione stessa, ma restano sempre presenti le possibili
alternative scartate, si ché necessita una continua riconferma della decisione
presa al fine di ridurre tale tensione.
Questo può accadere in quanto, secondo la “teoria
della dissonanza cognitiva”, l’individuo tende a mantenere una certa coerenza
tra conoscenze, credenze e opinioni costituenti i propri elementi cognitivi,
questo induce ad eliminare la dissonanza proprio all’interno del dato cognitivo
dissonante di minore resistenza.
L’intensità della dissonanza cognitiva deriva
dall’importanza che la decisione ha per l’individuo, il numero delle
alternative che si presentano, le caratteristiche positive e negative delle
alternative.
Se il vincolo su una decisione è esterno l’intensità
della dissonanza è in rapporto inverso al valore dell’incentivo e viene a
diminuire nel tempo.
Questo bisogno di coerenza
mentale è caratteristico dell’attività post- decisionale, del tutto
differente dal “conflitto” che precede la decisione, nonché dal “rimpianto”,
nel quale si rifiuta la decisione presa polarizzandosi sugli attributi positivi
dell’alternativa rifiutata, ma il gruppo può essere anche un luogo conflittuale,
fonte e origine di frustrazione, del sorgere di ostacoli alla soddisfazione dei
propri bisogni, che diventano carichi di emotività, sia nell’ipotesi di
ostacoli ambientali organizzativi che nell’ipotesi inversa di carenze personali
psicologiche o professionali.
Tuttavia nonostante sia una esperienza spiacevole la
frustrazione non è sempre negativa e destabilizzante sul comportamento, se non
addirittura utile ai fini di una maturazione dell’individuo, quello che la
caratterizza è la sua intensità, la durata della stessa, la possibilità di
superarla mediante compensazione, nonché la sua arbitrarietà, pertanto la
tollerabilità del livello di frustrazione costituisce un indice della
maturazione dell’individuo, come la capacità di analisi critica del proprio
comportamento.
Se il fattore tempo è un elemento fondamentale sulle
dinamiche della frustrazione, altri “meccanismi di difesa” come l’autoinganno
possono favorire l’adattamento psicologico dell’individuo proteggendone
l’autostima.
Dobbiamo considerare che l’organizzazione è fonte di
incentivi per alcuni elementi propri dell’uomo, quali il successo, lo sviluppo,
l’autorealizzazione e la sicurezza.
In essa si sviluppano sentimenti quali l’orgoglio che
può assumere due facce opposte, quella di un alto livello di autostima o al
contrario di narcisismo, quando il singolo si pone quale causa predominante di
un evento nella prima ipotesi, instabile e controllabile, orientata
all’obiettivo, nella seconda stabile e non controllabile, presuntuosa rappresentazione
relativa al proprio sé globale.
Bibliografia
·
D. Campus, Lo
stile del leader. Decidere e comunicare nelle democrazie contemporanee, Il
Mulino, 2016.
Gunther Anders, L’uomo è antiquato, B
lunedì 21 luglio 2025
Medaglie dell'Istituto del Nastro Azzurro Il re soldato 1925
ARCHVIO
Giorgio Madeddu
1. Le
medaglie dell’Istituto del Nastro Azzurro (Giorgio Madeddu)
1a parte
Sono state recentemente rinvenute
due vecchie medaglie prodotte dall’Istituto del Nastro Azzurro, la una datata
1925, l’altra 1933.
La medaglia datata 1925,
perfettamente conservata nella sua custodia originale, è realizzata in bronzo
con diametro di 54 mm e peso 90 grammi. Sul dritto è riportato, in rilievo, il
profilo del volto del “Re Soldato” con indosso l’elmetto Adrian e la scritta,
sempre in rilievo “A VITTORIO EMANUELE III” mentre sul rovescio, centrato, è
presente il simbolo dell’Istituto del Nastro Azzurro, contornato da due rami
riccamente fogliati di ulivo e quercia, in alto in carattere numerico, la data
1925, mentre sotto, ad arco concavo, la scritta “L’ISTITUTO DEL NASTRO
AZZURRO”.
La medaglia dedicata al Re della
Vittoria, massima espressione del Regno e del Valore Militare, è forse la prima
prodotta dall’Istituto. La lunga serie delle medaglie prodotte dall’Istituto ha
quindi origine sotto la presidenza di Ettore Viola (1923 – 1928).
E’ curioso notare che il volto del
sovrano riportato nella medaglia è molto simile, a quello della medaglia del 1918
“Guerra per l'unità d'Italia” – coniata nel bronzo nemico, e a quello presente nelle
monete da 20 lire del 1928, le cosiddette “Cappellone”.
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Purtroppo, l’autore non è noto, le
poche lettere visibili dietro il coprinuca dell’emetto, non consentono, al
momento, l’attribuzione dell’opera.
domenica 20 luglio 2025
Giulio Douhet Il Generale che conquistò il cielo
DIBATTITI
Sergio Pirolozzi
Premessa
Come spesso accade in molti ambienti sia civili che militari, una persona viene apprezzata ed elogiata veramente solo dopo la sua morte. Lo stesso avvenne per il Generale Giulio Douhet, morto il 15 febbraio 1930 e già criticato nei suoi anni migliori da un folto pubblico, sia in Italia che all’estero, inventore della guerra aerea e autore della famosa opera “Il dominio dell’aria”, la quale ancora oggi è oggetto di discussione e di studio da parte di ambienti militari e strategici.
Immergiamoci nella sua opera più importante, nei suoi trascorsi più felici e in quelli più tristi, come il periodo di reclusione passato nella fortezza di Fenestrelle, per capire meglio gli aspetti più significativi “dell’arma aerea” e il pensiero di un personaggio eclettico e pieno di sfaccettature come Douhet.
1. Il pensiero di Douhet. 2. Il personaggio a tutto tondo.
1. Il pensiero di Douhet
Bisogna innanzitutto partire dal presupposto che in Italia la Regia Aeronautica, oggi Aeronautica Militare, nacque soltanto il 28 marzo 1923, cioè ben cinque anni dopo la fine della Prima guerra mondiale.
Da sempre l’umanità ha cercato di raggiungere e conquistare il cielo come allo stesso modo è riuscito con le terre emerse e a solcare i mari, ma solo verso la fine dell’800 e i primi anni del 1900 possiamo notare un notevole miglioramento dell’uomo verso la conquista del cielo, attraverso apparecchi di vario genere come mongolfiere, dirigibili e infine aeroplani di vario genere, tutti mezzi i quali erano considerati, soprattutto durante la guerra, più che altro un’appendice del Regio Esercito e della Regia Marina.
Il termine della Prima guerra mondiale nel 1918, metteva finalmente in qualche modo la parola fine alle tattiche di conquista risalenti ancora all’epoca Napoleonica portate avanti da generali che preferivano mandare a morire migliaia di soldati per pochi metri di territorio nemico conquistato, piuttosto che elaborare nuovi piani, nuove strategie e nuove tecniche innovative di conquista.
A supporto di tutto ciò, la forza armata che destava maggiori interessi ed ancora in piena fase iniziale di sviluppo, era l’Aeronautica; questo nuovo strumento bellico che avrebbe per sempre cambiato il modo di agire e combattere in qualsiasi teatro di guerra.
Sui problemi di una futura guerra aerea si accentrò l’interesse di tutti gli ambienti militari non appena apparve il libro intitolato il “Il Dominio dell’Aria”, scritto dal Generale italiano Giulio Douhet, nel frattempo deceduto nel febbraio 1930(1).
In esso veniva presentata una nuova dottrina strategica della guerra aerea, del tutto rivoluzionaria e divenuta ben presto tanto famosa fra gli esperti da meritare il nome di “douhetismo”.
Douhet portò le sue idee innovatrici alle estreme conseguenze.
Infatti, partì dal presupposto che anche la prossima guerra sarebbe naufragata in una guerra di posizione. Vide, perciò, nell'aeroplano l'unica arma che non avrebbe mai corso il pericolo di essere condannata all'immobilità e che da sola sarebbe stata in grado di provocare la decisione finale della guerra.
Addirittura, dichiarò esplicitamente che gli effettivi dell’Esercito e della Marina dovevano essere ridotti al minimo indispensabile, giusto per il controllo del territorio, e successivamente tutti gli sforzi economici, industriali, umani dovevano essere tutti concentrati solo sullo sviluppo di un’Aeronautica autonoma, forte, in grado di annientare qualsiasi resistenza nemica anche e soprattutto sul suo territorio, praticamente invincibile.
Per Douhet era fondamentale l’assoluto dominio dell’aria.
Possiamo sintetizzare il suo pensiero, riportandone qualche brano:
"Nella grande guerra, benché essa venisse a interessare profondamente popoli interi, avvenne che, mentre una minoranza di cittadini combatteva e moriva, la maggioranza viveva e lavorava per fornire alla minoranza i mezzi per combattere. Tutto ciò perché non era possibile oltrepassare le linee del fronte senza prima spezzarle. […] Ora è possibile oltrepassare le linee del fronte. L’aereo dispone di questa capacità. […] Attualmente abbiamo la piena coscienza dell'importanza del dominio del mare; ma non meno importante sarà tra breve la conquista del dominio dell'aria […] l'Esercito e la Marina non devono vedere negli aerei dei mezzi ausiliari capaci di essere utili in certe determinate circostanze, no: Esercito e Marina devono vedere negli aerei il nascere di un terzo fratello più giovane ma non meno importante nella grande famiglia guerresca. […] Conquistare il dominio dell'aria vuol dire vincere. […] Per assicurare la difesa nazionale è necessario e sufficiente mettersi nelle condizioni di conquistare, in caso di conflitto, il dominio dell'aria. […] Il dominio dell'aria non può venire conquistato che da una adeguata forza aerea. […] Le forze terrestri e marittime hanno finora dominato, ed il loro dominio era incontrastato: lo spazio era precluso all'uomo […] le armi dell'aria sono destinate a predominare su quelle terrestri e marittime. […] Tendere alla progressiva diminuzione delle forze terrestri e marittime e al progressivo accrescimento delle forze atte alla conquista del dominio dell'aria. […] La vittoria arride a chi precede le trasformazioni delle forme della guerra, non a chi si adatta alle trasformazioni stesse. […] La nuova forma della guerra, esaltando all'estremo i vantaggi dell'offensiva, produrrà inevitabilmente una rapidissima decisione dei conflitti armati"(2).
Di conseguenza il Douhet si ritrovò ad avere fidati seguaci e implacabili nemici.
Gli esperti militari si distinsero in tre gruppi:
1. ad un estremo, i “douhetisti ad oltranza”, quindi seguaci della dottrina del Douhet, che tenevano in considerazione soltanto l'impiego strategico dell'aviazione e per i quali la cooperazione fra Aeronautica, Esercito e Marina non aveva alcun significato;
2. all'altro estremo, i “seguaci ad oltranza della cooperazione”, ossia dell'azione in comune tra forze aeree e forze di superficie. Secondo costoro, l'importanza dell'aeroplano in guerra derivava soltanto dal compito, ad esso affidato, di sostenere tatticamente, quale Arma ausiliaria, l'Esercito e la Marina nelle loro specifiche operazioni. All’Aeronautica era negata qualsiasi possibilità di intervento strategico;
3. in posizione intermedia stavano gli esperti che, da un lato, avevano pienamente compreso il valore delle teorie douhetiane, ossia le enormi possibilità della guerra aerea strategica, ma che, dall’altro, avevano saputo riconoscere, per esperienza tratta dalla Prima guerra mondiale, i notevoli vantaggi della cooperazione fra truppe dell'aria e di superficie. Costoro avevano esattamente individuato le cause delle manchevolezze e delle esagerazioni contenute nella dottrina del Douhet e ne avevano chiaramente determinato i limiti(3).
Possiamo tranquillamente concludere questa prima parte sintetizzando la dottrina di Douhet nei cinque punti seguenti:
La guerra moderna non fa distinzione tra combattenti e non combattenti;
Le offensive terrestri non sono più in grado di garantire il successo;
L’altitudine operativa e la velocità delle forze aeree non consentono un’efficacia difesa antiaerea;
Di conseguenza, un paese deve essere pronto a lanciare massicci attacchi di bombardamenti, colpendo con durezza la popolazione, il governo e le industrie del nemico, al quale non resta altra opzione che chiedere la pace;
L’unico modo di conseguire tale risultato è una forza aerea indipendente che abbia nei bombardieri pesanti il suo fulcro(4).
2. Il personaggio a tutto tondo
Analizzato e sintetizzato ad ampio ventaglio il pensiero del Generale Douhet, nello specifico la sua celebra opera “Il dominio dell’aria”, nella seconda parte analizzeremo l’aspetto e la vita di questo personaggio così eclettico e dalle vedute così ampie, rispetto ai modelli e alle idee che si trascinava dietro i primi anni del ‘900.
Il Douhet nacque a Caserta il 30 maggio 1869 in una famiglia benestante, da padre nizzardo e madre vercellese. Fin da giovane scelse la vita militare, prima allievo al collegio militare di Firenze, poi all’accademia di Torino e infine alla scuola di applicazione d’Artiglieria e Genio.
Inizia la sua carriera militare in modo spedito e brillante ma nel 1912, lo dimostrano i vari avanzamenti di grado prima nel 1890 come Tenente d’artiglieria, nel 1912 come Maggiore, nel 1914 come Tenente Colonnello.
Nel frattempo, il 24 maggio 1915 l’Italia decide di entrare in guerra al fianco della Triplice Intesa ed è proprio in questo periodo che le sue opinioni sulla condotta delle operazioni durante la Prima guerra mondiale, la maggior parte delle volte esposte in modo scritto, si rivelarono spesso critiche e in contrasto con le linee guida portate avanti da parte del Comando Supremo.
Fu proprio questo il motivo scatenante che lo portò ad essere condannato nell’ottobre del 1916 ad un anno di reclusione nella fortezza di Fenestrelle, con l’accusa di “divulgazione di segreti militari”.
Durante i periodi trascorsi al fronte e i periodi delle licenze romane strinse molti rapporti con personalità politiche, in particolare con il ministro Leonida Bissolati, al quale consegnò nel giugno 1916 scritti sulla condotta delle operazioni assai dura sugli alti comandi e in particolare sul Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Luigi Cadorna, il quale va ricordato venne sollevato dopo la disfatta di Caporetto nell’autunno del 1917 e sostituito dal Generale Armando Diaz.
Sempre nell’estate del 1916 inviò nuovi scritti sulla situazione delle strategie, dei soldati, della condotta di guerra portata avanti dal Comando Supremo al fronte, al già noto ministro Bissolati e ai ministri Sidney Sonnino e Francesco Ruffini.
Proprio in questo momento, in circostanze mai del tutto chiarite, una copia dei suoi scritti finì nelle mani del Comando Supremo del Generale Luigi Cadorna, il quale, paradossalmente, non aspettavo altro che un passo falso di questo tipo da parte del Douhet.
Lo fece arrestare il 16 settembre 1916 e dispose il suo deferimento al tribunale militare di Codroipo con l’accusa di divulgazione di informazioni riservate sulla guerra in violazione di precise disposizioni sul segreto militare.
Il Douhet in realtà non aveva commesso alcun tipo di reato, a maggior ragione il fatto che gli scritti, anche se pieni di ogni tipo di polemica, erano stati inviati a ministri in carica in quel momento storico al governo, quindi, non c’era nessun tipo di mancanza da parte sua; la verità, sostanzialmente, era che durante la guerra il Comando Supremo voleva limitare il più possibile ogni tipo intromissione da parte del governo, e fu questa la “colpa” celata dietro il modus operandi del Douhet.
Esattamente un mese dopo fu definitivamente condannato a un anno di prigionia da scontare nella fortezza di Fenestrelle dove il Douhet non si perse d’animo, anzi, in un certo senso approfittò di questo periodo dove scrisse l’opera “Autodifesa”, pubblicata dopo la fine del primo conflitto mondiale, dove in modo brillante sostenne appunto di non aver commesso alcun tipo di reato nell’inviare informazioni strategiche sull’andamento della guerra ai ministri in carica.
Il periodo passato nella fortezza non fu affatto facile, oltre alla situazione in sé non va dimenticato che nel frattempo l’Italia era ancora impegnata nel primo conflitto mondiale, ma ebbe un grandissimo sostegno da parte della moglie amatissima e non venne mai meno la sua assoluta convinzione di aver agito in modo retto e pulito.
Al termine della Prima guerra mondiale, il Tribunale Supremo di Guerra e Marina annullò la condanna inflitta nel 1916, infatti, come già si presupponeva tempo addietro fu accolta la tesi difensiva che la consegna a un ministro di informazioni riservate non costituisse alcun tipo di reato.
Tutto questo coincide molto probabilmente, per colpe non sue, al periodo più basso della sua carriera militare e della sua vita personale ma nonostante tutte queste disavventure il Douhet fu sicuramente un personaggio straordinario, una mente splendida, promotore di tantissime iniziative encomiabili.
Esso fu il primo a proporre che venissero resi i più alti onori alla salma di un soldato caduto in guerra e rimasto ignoto, è proprio da qui che nasce tutta la storia e la leggenda del milite ignoto.
Nell’agosto del 1920 lanciò la proposta di erigere nel Pantheon di Roma una tomba, appunto, dedicata al “soldato ignoto”, che oltre a ricordare tutte le vite senza nome dei soldati morti durante la Prima guerra mondiale, allo stesso tempo rappresentava anche il simbolo della vittoria ottenuta.
La proposta del Douhet venne accolta con estremo piacere ed entusiasmo dall’Onorevole Cesare Maria De Vecchi, il quale, insieme al Senatore Del Giudice, andò ben oltre l’idea del Pantheon e presentò un disegno di legge in Parlamento per la costruzione di un monumento per tutti i soldati morti durante la Prima guerra mondiale.
Il decreto sulla “Sepoltura della salma di un soldato ignoto” venne approvato dal parlamento italiano il 4 agosto del 1921 e come luogo della tumulazione fu scelto il “Vittoriano” ovvero il monumento dedicato all’ultimo re di Sardegna e il primo re d’Italia, Vittorio Emanuele II di Savoia.
Il Vittoriano divenne quindi un monumento che celebrava contemporaneamente il più importante primo cittadino italiano con il più eroico dei soldati italiani, il milite ignoto, che così posti insieme erano e sono li a rappresentare l’Unità d’Italia.
Conclusione
Ci sarebbero da scrivere pagine e pagine intere sull’intera vita del Generale Douhet ma senza entrare troppo nello specifico sono due i punti fondamentali che vanno presi in considerazione quando si parla di questo personaggio così eclettico: il primo punto fondamentale è che Douhet, dopo Macchiavelli, è il primo teorico militare italiano di fama a livello mondiale; l’opera “Il Principe” di Niccolò Macchiavelli e l’opera “Il dominio dell’aria” di Giulio Douhet, erano, sono e saranno pietre miliari impresse per sempre nella storia.
Il secondo punto fondamentale è che la sua dottrina va assolutamente contestualizzata e rapportata al periodo in cui venne formulata, considerati i limiti tecnici e soprattutto politici del suo tempo e che l’Aeronautica nascerà ufficialmente soltanto il 28 marzo 1923.
Il Douhet fu un geniale anticipatore delle reali possibilità dell’aviazione e ancora oggi non vanno dimenticate le sue innumerevoli battaglie, dove la maggior parte delle volte veniva criticato e osteggiato da buona parte dell’opinione pubblica, politica e militare, per lo sviluppo ai massimi livelli della sua dottrina della guerra aerea e dell’aeronautica come forza armata autonoma.
1 G. Douhet, Dominio dell’aria, Ministero della Guerra, Roma, ed. 1927.
2 G. Douhet, La difesa nazionale, Torino, 1923, Cit. in E. Bonaiti, Il bombardamento strategico, p. 11. Cfr. G. Angelucci, Douhet e la teoria del dominio dell’aria, op. cit. p. 27 ss.
3 Cfr. G. Angelucci, Douhet e la teoria del dominio dell’aria, op. cit. p. 27 ss.
4 Cfr. G. Angelucci, Douhet e la teoria del dominio dell’aria, op. cit. p. 27 ss.